Intervista_a_unexdetenuto_marzo2020_01

Allora, come sei finito in carcere, ci vuoi raccontare un po’ qual è la tua esperienza? E soprattutto, ritieni che questa cosa per cui ti hanno mandato in carcere, ritieni che poteva essere evitata, oppure no? La condizione per cui sei stato preso, ecc.?

Io sono finito in carcere perché mi sono spostato molto giovane, avevo 18 anni. A 18 anni e mezzo già avevo il primo figlio. Io dico sempre: il male sta sempre nelle istituzioni, perché c’è un abbandono totale. Quando uno commette un reato è perché inizialmente non lavora. Poi diventa come un… come dire, una volta che riesci a commettere un reato di…. Io parlo per me, che facevo i  furti. Non appena ho cominciato a fare i soldi, addio il lavoro, addio tutto, perché non me n’è fregato più di niente. Però il problema fondamentale per me era il lavoro. Quindi, se ho commesso il primo reato, è stato perché avevo un figlio e non avevo un lavoro, e poi man mano mi son trovato in questa situazione di andare in carcere. E poi dopo, non lo so, ho cominciato a uscire fuori, però volevo ricredere nello Stato, dove la Costituzione nostra è fondata su un posto di lavoro, su un appartamento. Poi ho visto tutte queste cose… io ancora adesso mi trovo in uno scantinato che ho fatto abusivamente, e ho pagato le mie pene per farmi questo scantinato [per finire in questo scantinato]. Quindi, vedi, le istituzioni vengono a mancare, lo Stato viene a mancare, non è presente nelle periferie, specialmente nelle periferie, dove ti ghettizzano, mettono in un posto solo tutte le persone emarginate, tutte le persone. E formano queste periferie, dove, diciamo, l’80% delle persone è fortunato, perché ha trovato un posto di lavoro, mentre c’è un 20% che delinque, perché non c’è un lavoro fisso, non c’è un lavoro con cui poter guadagnarsi la pagnotta. Allora è normale, il problema è proprio dei giovani, adesso, ancora di più. Prima si facevano i piccoli furti, oggi, da vent’anni a questa parte, nei quartieri periferici c’è molta droga, i giovani iniziano a spacciare, a fumarsi le prime canne, e poi arrivano a drogarsi e ad avere problemi come dipendenza dalle droghe. Quindi, il problema maggiore, ne sono convinto, è sempre il lavoro. Il lavoro è fondamentale. Quando non c’è lavoro, non c’è vita.

Secondo te quindi nel carcere c’è sempre una certa fetta di popolazione, oppure no? Tu cosa percepivi intorno a te, che ci fossero persone della tua stessa condizione materiale? Oppure c’erano altri tipi di persone che provenivano da altre classi sociali?

Guardi, io, per i pochi anni di carcere che mi son fatto… perché alla fine me ne sono fatti pochi, non è che… alla fine mi so’ fatto due, tre anni di carcere in tutto, e mo’ dovrei fare [sic; scontare, ndr] altri reati, dopo la morte di mio figlio, [si tratta] di oltraggio. Ora sto ancora facendo altri processi. In carcere ho visto tante… come dire, persone diverse, di strutture sociali diverse: dall’avvocato, dall’ingegnere, dal professionista ai piccoli spacciatori, ai grossi spacciatori… c’è di tutto e di più nel carcere. Ci sono tante persone che si sentono persone per bene, però commettono reati e vanno in carcere anche loro. Quindi non trovi solo il drogato, chi vende droga, il camorrista, ne trovi di tutti i colori. In questi tre anni che mi so’ fatto io, ho incontrato tanti strati sociali diversi.

Secondo ha qualche impatto sui quartieri in cui sorge?Impatto… non penso. Io penso solo che queste cosa accadano sempre perché non c’è lavoro. Il problema fondamentale è il lavoro. Perché se tu non dai lavoro, non dai possibilità di riscatto per queste persone. Non ci sarà mai la possibilità di dare un giudizio, capito? Io non posso giudicare una persona a cui manca il pane quotidiano. Per cui è costretta, è forzata, capito? Io sfido a chiunque a restar digiuno. Io penso non ci riuscirebbe nessuno.

Com’è cambiata la tua vita quando sei entrato? Qual è la stata la cosa più complicata a cui ti sei dovuto abituare? Qual è stata la tua più grossa difficoltà?


Il luogo non ti dà difficoltà. Diceva Freud: “L’animale più completo è l’uomo, perché ha le sue abitudini”.  [sic] Quindi tu ti rendi conto che non puoi uscire, ti abitui a quel posto. Vieni istituzionalizzato dal luogo in cui ti trovi. Però il problema maggiore sta negli abusi che compiono all’interno delle carceri. Questi abusi di potere che ti mettono nella condizione di fare il cane di pecora. Ma se tu non lo sei nella vita, diventa più dura adattarsi agli abusi. Se sei uno spirito libero, non è possibile lasciarsi reprimere da persone che compiono abusi su di te. Si si’ omm’, si’ omm’ semp’.

Come sono cambiate le relazioni con i tuoi parenti, con le persone a te più vicine, quando sei entrato? Qual è l’aspetto che più ti ha fatto riflettere?


Io ho cambiato vita da quando i carabinieri hanno ammazzato mio figlio. Perché io sono stato costretto a delinquere. Sono stato costretto dallo Stato, perché lo Stato non mi ha dato possibilità di inserirmi nel mondo lavorativo. Sono stato iscritto per trent’anni al Collocamento, e non m’hanno mai [chiamato]… Vedi, mia moglie dopo trent’anni di lotta ha avuto un posto di lavoro e non io. Per tante motivazioni. In queste liste [per il posto di lavoro, ndr], dove abbiamo combattuto, quando è venuto il momento in cui avrei dovuto rientrarci anch’io, mi hanno demandato i vecchi [posti di lavoro], che ho dovuto fare, e ne ho persi tre così.(?) Proprio mo’ che avevo la possibilità di inserirmi nel campo lavorativo, mi è arrivato un mandato vecchio. So’ rimasto sempre fuori. Forse so’ sfortunato. Però il fatto di relazionarmi con la famiglia, il problema maggiore è stato quando, per la prima volta mi sono trovato in carcere e mia moglie non aveva idea di [come gestire] queste cose. Una cosa che mi ha dato molto fastidio è stato quando mia moglie veniva perquisita [per le visite in carcere, ndr], e lei non era abituata a questo.

Invece, per quanto riguarda la modalità di vivere all’interno del carcere, com’era la tua quotidianità? Che cos’era …. (non ho capito cosa dice Chiara qui) Quali erano i soprusi che subivi? C’era solidarietà tra i detenuti?


La solidarietà, in tutte le carceri di Italia, c’è sempre. Se tu non hai possibilità, c’è sempre qualcuno che ti aiuta. È la prima cosa. Giustamente non ti può comprare le sigarette, però se si tratta di mangiare, di starti vicino se hai un problema, [qualcuno] c’è sempre. Chi ha più esperienza ti si avvicina, ti dice: “non ti preoccupare.” Abbiamo pure trovato casi di persone che piangevano, erano disperati, si volevano ammazzare, perché non erano abituati. Poi, man mano, uno ci fa l’abitudine, come t’ho detto prima, noi siamo completi come esseri umani, ci facciamo l’abitudine. Poi, ti istituzionalizzi proprio, hai capito? Arrivi a un punto in cui sei istituzionalizzato. Gli abusi ci sono. Ci sono, in quanto c’è abusi di potere delle guardie. (?) Però, da quando si sta facendo sentire un po’ la gente da fuori, i ragazzi che lavorano all’interno del carcere, gli operatori sociali, anche un po’ [grazie ad] alcune denunce, [per cui] qualche poliziotto è stato arrestato all’interno delle strutture, diciamo che qualche cosa è cambiata da dieci anni a questa parte. Prima, però, era proprio durissimo, era più rigido, più punitivo. Ora, c’è anche il regime aperto, cioè puoi stare otto ore [fuori dalle celle (?)]; è stata messa la doccia in camera in molti padiglioni, prima era squallido fare la doccia in molti padiglioni; si può fare la doccia in orario, due volte a settimana. Ci sono ancora delle strutture che fanno ancora così, perché non c’è possibilità [economica]. Dovrebbero essere rimodernate le carceri proprio al livello della pulizia, dei diritti umani e della dignità. Nessuno dice che i reato non vanno pagati, ma vanno pagati dignitosamente. Solo che qui, a proposito della dignità dell’uomo, tu diventi un numero, non sei più un uomo. Tu diventi un numero, una matricola, è quello il problema. Cioè, sei preso per una persona in più, capito?

Invece, com’era la situazione in cella? C’era sovraffollamento?

Quando stavo io a Santamaria [Casa Circondariale di Santa Maria Capua Vetere “Francesco Uccella”, ndr], eravamo in otto in una stanza, in cui dovevamo essere in quattro, il doppio. Perché c’era sovraffollamento. [Durante] l’ultima carcerazione che ho scontato a Secondigliano, eravamo nel cubicolo in due. Devo dirti la verità, in quattro metri per quattro di cubicolo, le cui porte vengono chiuse dalle otto di sera fino alle otto del giorno dopo, ti resta solo dormire, perché non puoi nemmeno muoverti in camera.

Per quanto riguarda il cibo? Mangiavate in mensa oppure cucinavate?


Il cibo lo cucinavamo noi. Lì passa il carrello, però cosa ti mangi, poi? Pensa un po’ tu cosa ti puoi mangiare da una persona che cucina per ottocento, mille persone? Preferisci sempre di fare la spesa, cercare, in un certo modo, di cucinare per i fatti tuoi. Ci si mangia giusto qualcosa dal carrello. Si cucina con il fornellino in camera. Sono delle cose strane, quando si potrebbero evitare. Potresti dirmi: “Ma cosa vuoi, una camera di lusso?” Basterebbe un cucinino degno, con il gas. Devono sempre speculare, capito? Loro dicono che ci si potrebbe ammazzarsi, con il gas di città, ma ti puoi ammazzarti pure con la bomboletta del gas. Fanno delle cose solo per i loro comodi. Non ti danno l’accendino ricaricabile, ma poi puoi appicciare [dare fuoco, ndr] lo stesso. Fanno delle regole inaudite. Non si può avere un coltello non di plastica, perché potremmo ucciderci, ma ci danno il taglierino dell’apriscatole, con cui ci potremmo comunque tagliare. Ci danno le lamette per fare la barba, e uno può uccidere anche con le lamette. Quindi, alla fine, se uno vuol commettere un reato anche all’interno della struttura, perché reprimere queste persone e farle mangiare con una forchetta di plastica, che poi, quando escono, ci voglio quattro mesi per abituarsi con le forchette in ferro, che cadono da mano. Io, quando sono uscito, dato che ho mangiato sempre con forchette e cucchiai di plastica, ho avuto difficoltà per tre mesi. Quando ti danno un cucchiaio di acciaio a casa, hai difficoltà, non riesci a mangiare, non riesci a mantenerlo. Figurati chi si è fatto dieci anni di forchette di plastica in carcere. Quando esce ha un problema. È problematico. Ci sono regole inaudite, perché potrebbe essere tutto più semplice. Poi, alla fine, il pericolo, il rischio, c’è sempre. Non è che tu cambi [risolvi, ndr] il problema. Se mi dai il cucchiaio di acciaio e io mangio con il cucchiaio di acciaio, o se me lo dai in plastica, non cambia niente. Io con la forchetta di plastica, si je vogl’ te ‘a ‘mpizz ‘nganna [se voglio te la pianto in gola], posso comunque bucarti la gola. Hai capito che voglio dire? Sono scemità [stupidaggini, ndr]. Non posso avere il cappuccio della tuta per il freddo; l’accappatoio non posso averlo col cappuccio, non posso avere la cinta perché potei soffocarmi da solo, ma potrei anche farlo con la manica. Regole stupide, inaudite. Io ho ancora l’accappatoio qui: ho dovuto  tagliare i colli, cucire i colli, mettere la cerniera, perché là […] (?) lo puoi fare con la cerniera. Cioè, una scemità. Io l’accappatoio ce l’ho qui (ce lo mostra), io prendo un accappatoio che viene così. Lo teniamo pronto, perché, se arriva all’improvviso un mandato di cattura e ci arrestano, almeno abbiamo l’accappatoio già pronto, già fatto. Per questo li conserviamo, altrimenti li butteremmo, perché già sappiamo che ci rientriamo, [in carcere, ndr] tra poco. Tutto questo,per dirti, vedi che stronzata, ma che cambia? Non posso soffocarti anche così [usando la manica, ndr]? Questi sono abusi di potere.

Tu hai mai lavorato in carcere?

No, non ho mai lavorato. Non m’interessa. Non ho bisogno di lavorare, perché a me ha aiutato la famiglia mia quando ero carcerato. Qualcosina ce l’ho. Do possibilità a persone, che, veramente, non sono nemmeno (cosa dice?) in lista. Poi, ti serve per la rieducazione. Tu ti devi segnare, puoi rifiutare una volta, due, tre… poi alla quarta volta, il giudice di sorveglianza ti chiede: “Perché non vuoi lavorare, non vuoi essere reinserito?” Così facendo, dai la possibilità, in quelle tre o quattro volti che rifiuti, che lavorino gli altri, senza prenderti il lavoro al posto di chi non ce l’ha.

Hai mai pensato di studiare? Sai come funziona?

Io leggevo molto in carcera, ti dico la verità. Siccome le condanne sono state sempre brevi, sarebbe stato inutile. Però a me se a me, oggi, a cinquant’anni, dessero una condanna grossa, mi iscriverei all’università. So come funziona: ci sono dei corsi per cui prendi la terza media, il diploma, e poi ti iscrivi all’università. Si deve fare un tirocinio normalmente, si devono dare dodici esami di giurisprudenza. Si tratta sempre di corsi “abbreviati”, non sono esami uguali a come si farebbero “fuori”, sono un po’ più sul “ristretto”. Però ti danno pure la laurea. È normale, è sempre una laurea, ma è una laurea di un detenuto avuta in carcere, te la fanno anche fare, ma poi non è che, se ti laurei in giurisprudenza, poi ti sarà concesso operare come avvocato oppure come giudice, anche per i precedenti. Non te lo faranno fare mai. Te la fanno fare, però, ma che senso ha? (ride)
Io ora sono un detenuto, molti di loro avevano scelto giurisprudenza. Ma ora, dimmi, uno che ha fatto quindici anni per omicidio, può mai fare il magistrato? Ti danno la laurea, ma che senso ha? È una presa per il culo in tutto! Dove stavo io, [durate] l’ultima carcerazione che mi sono fatto, proprio per il sovraffollamento, mi hanno inserito in mezzi ai ragazzi del Polo universitario. Ma io non andavo all’università, ero sopra, alla sezione. Per esempio, c’era questo signore che ho incontrato, gli ho chiesto che stesse facendo, e lui mi ha risposto che si era iscritto a giurisprudenza e che stava studiando per gli esami. Poi, gli ho chiesto: “Ma perché sei qui?” [in carcere, ndr], e lui mi ha risposto: “Eh, sto dentro da ventun anni, per omicidio” – ”E che ve la prendete a fare ‘sta laurea, scusate?” – “Eh, mi piglio ‘a scola!” [mi laureo]
Cioè, fra un po’ si laureava anche in giurisprudenza, ma uno che ha commesso un omicidio, poteva mai fare il laureato? Tutto quanto, è un contesto a prendere in giro, una farsa.

Ci sono altre attività in carcere? Le ritieni utili?

Per me tutte le attività che si fanno sono inutili, perché non permettono l’inserimento in seguito al periodo della carcerazione. Dovrebbero esserci dei progetti di rieducazione e, specialmente per i più giovani, un continuo. Ma non ci sarà un continuo, là è tutta una farsa. Il minimo sindacale, quando lavori fuori, per un operaio è 1500, 1600 euro al mese; quando poi vai in carcere ti mettono in un primo livello, in cui ti viene detto che, mentre fuori si possono prendere 1800 euro al mese compreso l’assegno familiare, in carcere, se si ha una condanna definitiva, si prende di meno, perché i contributi che si dovrebbero ricevere, finiscono all’amministrazione. Alla fine, come paga, sul libretto non ti assegnano più di 400 euro al mese se hai una condanna definitiva.

Se sei in appello, invece, puoi prendere qualcosa in più, ma non ti danno la possibilità di lavorare davvero, ma ti fanno lavorare giusto per 15 giorni, proprio perché non hai soldi, per farti guadagnare quel 200/600 euro al mese.

È facile accedere al lavoro?

No, è difficile. Devi sempre metterti in lista. Ci sono spesso persone che stanno economicamente bene, ma che voglio dei soldi propri e cercano di prenderseli dallo Stato. Come ti dicevo, io stesso non mi iscrivevo alle liste per dare possibilità a chi ne ha bisogno. Ci sono persone, però, che fanno le furbe e dicono di non avere soldi, al limite dicono ai propri familiari di non andare a trovarli e di non venire ai colloqui anche per un mese e mezzo. Di conseguenza iniziano a lamentarsi, dicendo cdi avere problemi, che fumano e non hanno soldi, vanno a parlare dal direttore, che li inserisce nelle liste.

Secondo te, qual è il problema principale in carcere?

Il problema maggiore, nelle carceri, è la rieducazione. Non ci sono possibilità per i detenuti del reinserimento nella società. Per esempio, non ci sono operatori: una volta entrai nel carcere di Santa Maria, era la prima volta che mi trovai in carcere all’esterno (?), e lessi molte scritte all’entrata che dicevano “operatori sociali”. Pensai allora che lì si stesse bene: ci sono operatori e assistenti sociali. Poi però notai che il servizio era assente. Ne parlai un giorno con la guardia e lui mi rispose: “Guaglio’, ma quando mai!”.

Secondo te, le persone e le associazioni che si trovano in carcere traggono profitto da questa cosa?

Certamente. Ad esempio, fuori un flacone di shampoo si può pagare 2 euro, e in carcere si paga 4 euro; un bagno schiuma 3,20 euro. Solo le sigarette hanno lo stesso prezzo. È tutto un accordo tra le ditte e chi è responsabile addetto alla spesa dei prodotti. Pure per quanto riguarda questo aspetto è tutto un magna magna. Dovrebbero permettere alle ditte statali di portare i prodotti e il cibo, così che ci sia la possibilità di comprare i prodotti a prezzi fissi, come si pagano fuori. Voglio dire, ci deve essere la possibilità di pagare, ad esempio, un borsellino 1 euro, come lo si paga fuori, e non 2 euro, solo perché si tratta di una dritta privata e non dello Stato.

Per quanto riguarda le cure e le medicine, l’assistenza sanitaria?

Non parliamone proprio. Io personalmente ho i valori di  colesterolo e trigliceridi alti, ho bisogno di cure e dovevo comprare il TOTALIP. Mi veniva anche dato, ma mi veniva dato l’equivalente, che a me per esempio non faceva bene, ed ero obbligato ad assumerlo. Poi, c’è la cosiddetta “pillola di Padre Pio”: sempre la stessa pillola per tutti i mali. Se hai mal di stessa, un malore alla gamba, una colica… ti viene somministrata sempre la stessa pillola. È stata chiamata così perché a quanto pare deve fare un miracolo! Un’altra volta sono andato, perché avevo male alla schiena, e la dottoressa mi diede questa pillola. Io le chiesi: “Dottoressa, ma non è la stessa pillola che mi avete dato ieri per la colica?”, e lei mi ha risposto che purtroppo solo questa medicina hanno a disposizione. Quindi, alla fine sei un numero, non un essere umano.

Se hai un problema specifico o hai bisogno di un soccorso medico immediato, cosa succede?

Se hai un problema e sei carcerato, muori. Sono uscito dopo tre mesi e dovevo farne altri nove [ai domiciliari]. All’inizio, mi sono messo [in lista] per una visita cardiologica, siccome ho i valori alti di colesterolo. Mi sono segnato all’inizio della reclusione, dopo tre mesi sono uscito per andare ai domiciliari, e sto ancora aspettando la visita. Ho dovuto dire che mi avevo dolori al petto, che avevo paura che avrei potuto avere qualche infarto, poiché mi era stato consigliato così, altrimenti non avrei avuto attenzioni. Dopo che si comincia a fare così, le guardie sono costrette a scendere giù a chiamare i medici, e poi ti rispondono che non ci sono né infermieri né medici. Se invece ci sta, il medico dice di segnarti, ma poi queste visite non si fanno.

Ti ricordi qualche forma di punizione o di premi nella tua quotidianità? Hai ricevuto ulteriori restrizioni?

Il premio puoi scordartelo. Devi fare solo il carcerato. Devi farti il tuo percorso e se infrangi anche minimamente delle “norme” banali, per esempio durante le discussioni con le assistenze penitenziarie, ti riempiono di mazzate.

Fortunatamente, per le restrizioni, ho cercato sempre di evitare di trovarmi in certe condizioni. Se sei furbo sai farti valere per quello che sei. Se sei una persona intelligente, riesci a sfuggire pure da queste situazioni. Purtroppo ci sono dei ragazzi che accettano le provocazioni, reagiscono, ma poi ci vanno a perdere sempre loro.